LA REPUBBLICA
Addio ai Soprano. Finisce l'era del padrino tv
"E' l'inizio della fine. Succede questa sera in America. Con la prima puntata dell'ultima stagione dei "Sopranos" non si chiude una qualsiasi serie televisiva, ma la madre di tutte le serie. Di quelle che, in questi ultimi anni, hanno eclissato per coraggio, potenza narrativa e spessore psicologico il cinema contemporaneo statunitense (ma non solo) e gran parte della letteratura. Si è cercato come un Sacro Graal il "grande romanzo americano" senza accorgersi che lo si aveva, letteralmente, davanti agli occhi: la domenica sera su Hbo. David Chase, l'ideatore, sceneggiatore e in parte produttore dei "Sopranos" ha creato un universo parallelo così fantastico da diventare reale. Ha scalpellato dai bassorilievi del sacrario cinematografico figure mitologiche come quelle dei mafiosi e li ha resi ancor più che carne e ossa: anima e cuore. Ce li ha mostrati nei ruoli più difficili: quelli di padri, figli, mariti, torturati come uomini qualunque dal rapporto irrisolto con una madre incapace di affetto, impalati al bivio eterno tra la monogamia e il buffet del sesso, folgorati dalla rivelazione che l'amore per la prole adolescente altro non è che l'ennesimo, innaturale dovere. Alla fine, meglio l'altra famiglia, dove i rapporti sono chiari, le deviazioni proibite e le soluzioni dei conflitti definitive. Il capolavoro di Chase è stato il personaggio di Tony Soprano, uno di quelli che fanno la fortuna di un attore e lo maledicono. James Gandolfini gli ha prestato la sua stazza, l'espressione leggermente ebete che fa da trailer alla furia. Oggi, se lo vedi al cinema che gira il Messico con Julia Roberts ti chiedi come sia arrivato fin lì il Soprano boss del New Jersey. Che è l'altro colpo di genio di Chase. Ambienta i "Sopranos" a New York e muoiono i déjà vu, spostali nel New Jersey, con le strade vuote, le casette a un piano, le insegne col maiale che ballano nel vento e fai bingo. Che fosse una serie diversa lo si capì subito, addirittura dalla sigla, con la mano grassoccia di Tony al volante mentre guida sotto il tunnel che lo allontana da Manhattan, superando ciminiere e squallore, accompagnato da un sigaro e da un rock. È un boss mafioso, ma si presentò struggendosi perché dalla piscina della villa erano sparite le anatre che erano solite visitarla. Lo affliggeva, più che una lotta di potere o un desiderio di vendetta, una malinconia senza oggetto (la specie più pericolosa) che lo trascinò sul lettino di una terapista. I "Sopranos" hanno fatto anche questo: sdoganato il rapporto tra i mafiosi e la psicoanalisi, aprendo la strada alla versione cinematografica (esagerata) con De Niro in "Terapia e pallottole". È stata una serie senza tabù. Tra i suoi picchi: la notte di tempesta in cui la moglie di Tony e il prete, soli in casa, guardano vecchi film e nuovi desideri inscenando l'esempio perfetto di quella che le scuole di sceneggiatura insegnano come URST (Un-Resolved-Sexual Tension, ovvero un'incompiuta). Una partita di golf in cui, saputo che il vecchio zio pratica il cunnilingus alla sua amante estetista, contravvenendo al codice macho mafioso, Tony va alla buca e ammiccando dice: "Sento odore di sushi". Sei stagioni hanno, come in ogni serie, richiesto l'ingresso di nuova linfa, nemici che hanno ballato una sola estate prima di sparire (nel cemento). Hanno esatto il sangue sacrificale di vittime tanto innocenti quanto amate dal pubblico (record per l'omicidio della bella Adriana, fidanzata trash del nipote di Tony, divenuta confidente dell'Fbi). Hanno creato, distrutto e ricreato rapporti. Il boss è sopravvissuto a due attentati e, soprattutto, a se stesso. Come dice all'inizio della fine, è stanco. Stanco di guerra e stanco delle ragioni per cui ha combattuto. Nel letto d'ospedale, la serie passata, aveva detto: "Quando arriva in fondo, un uomo non valuta la propria vita dal numero di estorsioni che ha fatto". Ma non ha vissuto invano. Ha cambiato uno spicchio di televisione. Ha dato gloria a Hbo, consentito "Six Feet Under". E altrove, per emulazione, "Carnival" e, almeno all'esordio, "Nip/Tuck". Se ne sta per andare con due soli rimpianti: le ridicole proteste degli italo-americani che si sono sentiti presi in giro anziché onorati e lo scarso coraggio di chi, in Italia lo ha ingaggiato e mandato allo sbaraglio nella notte. È l'inizio della fine. Le serie che non assomigliano alla vita possono durare in eterno. Quelle come i "Sopranos" muoiono. Sia loro lieve la replica.
(Gabriele Romagnoli, 08.04.2007)
1 commento:
La serie più bistrattata in Italia
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