Articolo di Antonio Dipollina su "La Repubblica"
A questa ipotesi della rivoluzione
televisiva loro non tengono affatto. Sono quelli di Netflix, colosso
mondiale della tv via Internet. Stanno
per sbarcare in Italia, data imprecisata ma nella seconda metà di
ottobre dovremmo esserci. I big dell’azienda arrivano ogni tanto da noi,
incontrano la stampa, ragguagliano, spiegano, fanno il punto. E da
ieri, per esempio, hanno speso un concetto preciso: «I nostri veri
avversari siamo noi stessi nella capacità di convincere il pubblico », e
soprattutto «siamo complementari alle altre pay-tv»: aggiungendo che
tutti loro dedicano soltanto l’1 per cento del tempo a valutare quel che
fa la concorrenza (qui Sky e Mediaset Premium, che offrono da tempo
servizi simili). Dietro,
in un angolo, c’è il poster della campagna pubblicitaria italiana e
dice “Tesoro, sono a casa”. Un’ode alla stabilità della famiglia visto
che chiunque, se ha Netflix, rimane a guardare tranquillo la tv senza
uscire in missioni a rischio. Forse. L’approccio,
insomma, sta diventando via via più prudente, e forse più razionale,
rispetto a certe premesse che volevano milioni e milioni di italiani
pronti da domani a buttare all’aria vecchia tv, vecchia pay-tv e tutto
quello che veniva a tiro. Complementari: forse così ha un senso,
sicuramente si capisce di più. Netflix è un catalogo, il catalogo è
questo. Niente
live, niente news, niente sport, niente talk-show. Il resto c’è tutto
(e detta così c’è quasi da correre ad abbonarsi). Netflix è la
produttrice di serie gioiello come House Of Cards , oppure Orange is The
New Black, ma in una fase acerba del cammino e quindi sono state
vendute alle pay-tv sul campo. Ma
vengono promesse serie prodotte in proprio e solo su Netflix in tempi
brevi (Narcos è un esempio), nulla si sa di produzioni italiane vere e
proprie che si mettano magari a fare concorrenza a prodotti come Gomorra
(all’ipotesi, circolata nei mesi scorsi, di una cosa su Mafia Capitale i
manager replicano: «Non sappiamo proprio cosa sia»): quindi c’è
soprattutto il catalogo. Sterminato, di film, serie tv anglosassoni,
cartoni animati di lusso, documentari al top della produzione mondiale. Vuoi
chiuderti due giorni in casa e guardare venti episodi di Breaking Bad?
Con loro è possibile ma soprattutto più semplice che con chiunque
altro. Agli incontri-stampa troneggia sul muro un tv gigante di
ultimissima generazione, dentro c’è la schermata principale con
l’offerta in sintesi e riquadri sgargianti e sembra francamente il
paradiso. A patto di passare il resto della propria vita a fare il
telespettatore. Ma ci sono anche vie di mezzo, nella vita medesima. Serve
internet, un discreto, preferibilmente buono, meglio se buonissimo,
collegamento in casa. Anche qui, toni rassicuranti dai manager: «Se
vedete youtube sul computer, allora vedrete anche Netflix». In
teoria un wifi all’altezza migliora le cose, anche se la ditta è
provvista di un marchingegno detto “streaming adattativo”: ovvero il
segnale si adegua alla banda di wifi che hai e fornisce il miglior
livello video per le tue possibilità. Poi serve una tv, le Smart Tv sono
fatte apposta, oppure con un cavo vi colleghi il computer. O sul
computer. O ancora via Chromecast, chiavetta evoluta che riceve il
segnale una volta innestata nel tv. O ancora le console dei giochi, il
lettore Blu-Ray, l’Apple Tv o anche lo smartphone . E chissà che altro,
in teoria è escluso dal servizio solo chi accende la tv col bottone, ha
perso il telecomando da anni tra i cuscini del divano e non lo trova
più. Più
che il quanto, vale il come. Ed è quello che differenzia Netflix dagli
analoghi servizi — Sky Go, Infinity, Sky On Line — della concorrenza.
Chi usa Spotify o servizi simili per la musica sa già come funziona. Nessun
abbonamento permanente, ci si attiva via Internet (un mese gratis di
prova) e poi via con tre modalità di abbonamento che sembrano
confermate: a 7,99 euro per il servizio in qualità standard e su un solo
dispositivo, 8,99 euro per il servizio in full hd e su due dispositivi,
11,99 euro per l’altissima qualità 4K — qualunque cosa sia — e su
quattro tv, o altro, diverse. Ci si dis-abbona quando si vuole, in tempo
reale. Ma
attenzione, Telecom e da ieri c’è anche l’annuncio di Vodafone
(“abbonamenti offerti con i piani 4G e Fibra”) offriranno Netflix con
offerte promozionali e probabilmente con qualche sconto importante. Ogni
abbonamento potrà avere cinque adesioni differenti — ovvero per i vari
membri della famiglia, per esempio — e personalizzati in base ai gusti: i
capi del servizio spiegano che da loro lavorano soprattutto centinaia
di ingegneri alle prese con gli algoritmi che suggeriscono titoli e
spunti in base ai gusti che hai dimostrato di avere nei primi giorni di
abbonamento. Quelli
di Netflix sono colossi veri a livello mondiale, hanno esportato la
streaming tv in parecchi Paesi ma il centro delle operazioni è assai
americano. L’impressione per ora è che si aggirino come marziani in una
terra sconosciuta e di fronte alle obiezioni sul Paese televisivo
italiano (che negli anni è diventato una sorta di installazione ideata
da un folle) ribattono tranquilli: che problema c’è? Per
esempio, su certi proclami del tipo «la tv generalista è morta e
sparirà in pochi anni» c’è da andarci molto cauti: in questa fase da noi
sta succedendo esattamente il contrario, le pay-tv si sono molto
appassionate ai canali in chiaro, ne hanno comprati, vi stanno
riversando parecchia produzione prima a pagamento: e soprattutto da anni
non scuciono un dato sugli abbonati paganti mentre ogni giorno vantano
gli ascolti dei programmi-top, ovvero il contrario della mission pay-tv. Magari
per Netflix tutto questo è un bene, ma la specificità italiana in campo
televisivo — e comunque la robusta concorrenza a base di SkyGo e
Infinity che esiste già sul campo — sarà complicata da domare. Per
tacere poi dell’ipotesi vagheggiata di ulteriori arrivi di servizi
simili in futuro, da Amazon a Apple, immaginando il pigro telespettatore
italiano pronto a scucire dieci euro al mese a chiunque prometta
meraviglie. Fantascienza,
meglio andarci piano e intanto parte Netflix. Puntando quindi
sull’ipotesi che il famoso slogan «siamo complementari» risulti alla
fine convincente e convinca soprattutto il pubblico pagante.
1 commento:
ho molti dubbi ad abbonarmi...
per ora vince lo streaming
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