Fino a un po’ di tempo fa andavano per la maggiore dei sistemi chiusi, come Soulseek o Emule, che mettevano in contatto persone con delle passioni comuni, e permettevano loro di scambiarsi canzoni o film da persona a persona, peer to peer. Dopo di che (dal 2001) sono cominciati i torrent, cioè dei peer to peer in versione ammucchiata, dove cento persone che desiderano la stessa cosa se ne scambiano fettine in una stanza, vicendevolmente, finché tutti non hanno la torta completa. Il passo successivo sono stati i film in streaming di Megavideo, cioè un canale televisivo che trasmetteva contenuti rubati, e lucrava sulla pubblicità. E insieme sono cresciuti i depositi di dati, cioè banche dove appoggiare la refurtiva perché chiunque ne abbia voglia possa copiarla. Tutto questo, soprattutto l’ultima parte, è in crisi. Perché? Perché non è nemmeno uno scambio, una copia che va da A a B, laddove A e B magari non hanno fatto le elementari insieme, ma almeno si cliccano a vicenda: si tratta di pura copia di materiale originale, a uso e consumo gratuito di chi ne abbia voglia; soprattutto, si tratta di contenuti immagazzinati da qualche parte. Il tutto con un ricavo economico legato agli abbonamenti premium (quelli che permettono di scaricare più agilmente) e pubblicità. Se il server è in un Paese civile, bene, vengono fermati. Se è alle Samoa Occidentali o in Siberia, allora è più difficile. E si arriva al paradosso di distinguere tra diversi ladri: quelli dei paradisi fiscali, che hanno utili finanziari su cui non pagano le tasse sono i nostri nemici; gli altri no, gli altri sono amici fraterni paladini del bene contro le storture del mercato, cioè il mercato stesso che è una stortura rispetto a «We want Word and we want it now». Ribadiamo un concetto: io sono molto felice che esistano tutti i mezzi di appropriazione indebita di contenuti in formato digitale, e grazie a questi sistemi ho conosciuto un sacco di meraviglie, perle, cose che mi hanno cambiato anche un po’ la vita. Spesso mi sono poi comprato gli originali di quello che avevo trovato così e va detto che spendo una cifra notevole in cd, vinili, dvd, blu-ray. Anzi, io sono uno di quelli dei supporti: per me le cose che contano vanno possedute, e mi piace comprarle, e ho lo stereo bello, lo schermo grande, i libri di carta da sottolineare e rovinare con le orecchie. Cioè, se facciamo i conti, possiamo anche dire che sono uno di quelli che usano molti sistemi di fruizione di roba scaricata in Rete, ma poi spendono una bella cifra per andare al cinema, comprare la roba, andare ai concerti. Questo per dire che effettivamente il catastrofismo di certe analisi va mitigato con un certo senso delle cose e del tempo, me ne rendo conto. Anzi, ribadisco, sono uno di quelli che non fanno male al mercato. Ma il punto non è quello, non sono io. Sappiamo che la disponibilità degli utenti a spendere denaro per certi contenuti, in particolare per quelli musicali, è scesa enormemente. E ci sono moltissimi utenti non impallinati di musica, quei milioni che comprerebbero pochi dischi all’anno, che hanno perso l’abitudine all’ascolto, all’acquisto, al possesso e all’immedesimazione relativi alla musica. Insomma qui il discorso si fa lungo e complesso, e io lungo e complesso non voglio essere. Non più di così. Ma ho la mia versione di quello che sta succedendo in queste settimane, in questi mesi. Non ha a che fare con il vaneggiare, di questo tizio su Forbes, di cui ho letto sul Post ma con la disponibilità a spendere per prodotti complessi, che si fanno in centinaia, migliaia di persone, e costano svariate decine di milioni di dollari, come certa musica, i film e i videogiochi. Steam, che viene citato, è un posto dove i videogiochi importanti costano serenamente 50€, dedicato al pubblico ristretto e appassionato dei giochi su personal computer: un pubblico che non fa testo, e non c’entra niente con il mercato del pop, dove prodotti che costano 15€ sono ormai percepiti come un furto, e le case discografiche dei ladri avidi di diritti. Chi ripete queste cose in genere non ha un disco in casa, o comunque non ne compra da anni. Io dico che ci è andata bene, e che le cose sono cambiate. Non erano nostri diritti, ma è stato uno sballo assoluto, e un po’ di quello che è successo resterà. Resteranno modi illegali, e alcuni di quelli legali avranno la velocità e la fruibilità di quelli illegali. Ci saranno anche degli ibridi, delle distribuzioni più veloci e pensate per l’utente sgamato, delle vie di mezzo. Ma quello di cui abbiamo goduto non è in nessun modo — non lo è, ripeto sette volte sette — la norma, o un diritto naturale di cui ci devono garantire la persistenza. Né la chiusura di questi servizi costituisce alcun sopruso. Pensiamoci ridacchiando, come si pensa all’autostrada senza limiti di velocità, che di notte da casello a casello ci mettevi niente. Pensiamoci come si pensa a una pacchia che non c’è più perché è giusto così. E finiamola, per carità, vi prego, di ripetere che ciò che nessuno di noi ammetterebbe per sé (che il proprio lavoro fosse regalato a chiunque ne avesse voglia) sia un dovere per gli altri, una condizione senza la quale siamo noi che gridiamo allo scandalo, siamo indignati, non giochiamo più. Perché così siamo ridicoli, e facciamo anche un filo pena.
mercoledì 8 febbraio 2012
NEWS - Il dibattito è aperto, Megaupload è chiuso. Intrigante pezzo di auto-denuncia di Matteo Bordone contro i piagnistei per la chiusura dei siti di scaricamenti illegali. E voi come la pensate?
Articolo di Matteo Bordone per "Wired"
Da qualche anno a questa parte (da diversi anni, a dire la verità) io e altri milioni di persone nel mondo rubiamo roba in Rete. Si tratta di furto, perché chi ha prodotto quella roba ha pagato degli stipendi, dei fornitori, ha anche solo messo in opera la propria creatività e le proprie capacità per realizzare quello che noi otteniamo senza spendere una lira. Certo, spendo per la connessione, per il computer, per gli hard disk, per gli attrezzini che attacco al televisore per vedere meglio quello che scarico. Ma per i film, per le serie, per i dischi, a volte anche per i programmi non pago nulla. Costano, costerebbero, ma io me ne frego: ho trovato un modo per non pagarli, e lo sfrutto. Ora, è evidente che la differenza tra il possesso di una sedia e il possesso di dati digitali è notevole, chiara a tutti e nello stesso tempo di difficile definizione. Questo non toglie che qualsiasi cosa sia sul mercato abbia un costo e che chi non corrisponde quella cifra a chi vende sia il marito della venditrice oppure un ladro. Fosse anche una cosa impalpabile come l’amore, assurda come la cartomanzia, si dovrebbe comunque pagare. Perché se non sei disposto a pagare, forse sei disposto a fare a meno: il diritto inalienabile a vedere Lost gratis non è garantito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
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3 commenti:
Per me la questione si riduce al concetto di "GIUSTO GUADAGNO". Un concetto che si è perso da tempo e che dovrebbe essere riesumato. Così come non SAREBBE giusto pagare le tasse per dei servizi che non vengono resi, altrettanto ingiusto è pagare un prezzo spropositato per certi contenuti.
Per finire, trovo ridicolo spezzare una lancia in favore di GOLIA e fregarsene di DAVIDE.
Sottolineo e sottoscrivo, nel e nel male, ogni parola di questo articolo, che trovo sincero, veritiero e diretto come pochi altri sul tema.
Un esempio? non mi nascondo dietro a un dito, anche io scarico, ho scaricato in passato, ho utilizzato megavideo, sistemi peer-to-peer e tutto ciò che di illegale esiste. Ma allo stesso tempo iocompro dvd e cofanetti (perché mi piace possedere le cose che mi paicciono) e ho un abbonamento a sky e a premium, quindi in un modo o nell'altro compenso le mie azioni illegali credo, no?
quelli che si lamentano perchè ha chiuso Megavideo sono solo dei viziati...ringraziate per il tempo per il quale avete "rubato" materiale in rete protetto da copywright, vah. La giustizia, comunque è una sola, non ci sono vie di mezzo come sostiente qualcuno/a...
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