LA VITA E' UNA COSA SERIAL - L'Uomo di Lattice ci salverà
Eccolo, finalmente. Era ora. Il Salvatore. Colui che ci tirerà fuori dalla crisi in cui siamo piombati quasi senza accorgercene. Quello che ci permetterà di rivedere la luce in fondo al tunnel, che ci farà smarcare dalla mediocrità...No, non Monti. L'Uomo di Lattice. Quello di "American Horror Story", il simbolo di una serialità che sta riaprendo i petali in una nuova primavera. Fuori dal limbo di "color che stan sospesi" tra la realtà così sfuggente che risulta difficile raccontarla, il rifugio troppo soffocante del flashback e il fantasy che ti porta troppo altrove. E' la serie di Ryan Murphy e Brad Falchuck il nuovo vessillo da sventolare. Ossessioni che diventano irrinunciabili calamite per gli occhi di chi guarda, strambi personaggi che nascono dall'inconscio, il sonnambulismo del protagonista che diventa il tuo. Come ha scritto Aldo Grasso - si veda L'Edicola di Lou - "è l'eccesso che prende forma". Anzi, formaldeide. Il ritorno all'horror classico de "La Casa" di Sam Raimi, piuttosto che a quello adolescenziale di Wes Craven e Kevin Williamson; quello degli anfratti bui e delle porte che scricchiolano, del diavolo in cantina e degli "others" in solaio o da qualche altra parte. Il Frankenstein di Mary Shelley che incontra "Rosemary's Baby" e ne nasce un'"Attrazione fatale". Un carnevale di emozioni condensate in 50 minuti in cui anche i personaggi più marginali diventano di culto. L'Uomo Lattice - Rubber Man - fiero cugino del Macellaio di "Nip/Tuck", meriterebbe già una linea di abbigliamento con il suo volto, o quantomeno, un gruppo su Facebook. La sua nascita è sintomatica della libertà concessa agli ideatori e di quanto la tv (americana) di oggi abbia bisogno delle ali della "fantasia pilotata", quella che ti permette di svisare da un plot centrale (il trasferimento degli Harmon dopo il tradimento del capo-famiglia) per abbracciare misteri ben più grandi (e forse più risolvibili!). Quella fantasia che se lasciata a briglie sciolte rischia di surclassare il plot - successe a David Lynch quando propose la versione televisiva di "Mullholland Drive" - quella che deve salire ogni tanto dalla cantina per farti sussultare al solo rumore...Ebbene, la leggenda della nascita dell'Uomo Latex merita di essere raccontata: un giorno Ryan Murphy fa visita a una biblioteca sui generis e ne esce con un libro su come mantenere al meglio la propria divisa da feticista. Mica "Topolino", insomma. Il buon Murphy porta il libro con sè alla riunione con Falchuck per stendere la sceneggiatura della puntata-pilota, ma non riesce a distogliere lo sguardo dalla copertina ritraente quell'uomo con tuta di lattice nera che diventerà parte integrante della storia e delle locandine di lancio. Per i feticisti del caso, nella serie a indossare la tutina è stato perlopiù Riley Schmidt, tranne nella scena di sesso con Vivien (Connie Britton), in cui a calzarla, per esplicita richiesta della Britton stessa, è stato Dylan McDermott (quest'ultimo è stato l'unico attore interpellato da Murphy-Falchuck ad accettare una scena di masturbazione nel pilot). E tra i tanti misteri che assiepano la serie, forse quello più inquietante - a dimostrazione di come il telefilm abbia già varcato il teleschermo - è quello che si è posta Gwyneth Paltrow dopo aver letto in anteprima lo script della prima puntata: "ma se Vivien fosse incinta dell'Uomo Lattice? Nel caso, metterà al mondo un bambino di latex?". Nel dubbio, la serie-salvatrice del genere seriale è nata e lotta insieme a noi. Better latex than never...
(Articolo di Leo Damerini pubblicato su "Telefilm Magazine")
lunedì 9 gennaio 2012
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3 commenti:
clap clap
Latex Lex ....
Latex forever
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