lunedì 22 settembre 2008

BOLLETTINO - "La piccola Moschea nella prateria": meglio l'originale!
Non si capiscono le ragioni (e la necessità) per le quali la 20th Century Fox Television abbia annunciato di voler produrre la versione americana di quel piccolo gioiello che è "La piccola Moschea nella prateria". La sit-com, nonostante batta bandiera canadese, è di radice musulmana a tutti gli effetti, a partire dall'ideatrice quarantenne col burqua Nawaz Zarqa. La storia, in sintesi, verte sulle scoppiettanti relazioni di una piccola comunità musulmana con gli abitanti dell'altrettanto sparuta cittadina canadese di Mercy (e già nel nome della cittadella si legga l'ironia di fondo). Ma non solo: i frequentatori stessi della moschea, nata sul retro di una chiesa anglicana, si suddividono a loro volta tra i conservatori e i progressisti, con una galleria di figure che va dall'Imam liberale alla musulmana femminista, dal reverendo tollerante al dj radiofonico razzista. Il tutto condito con un occhio ai temi socio-politici post-11 settembre 2001 e una vena non-sense che induce in più di un'occasione alla risata di pancia. Nel cast della serie canadese, sospinta dal plauso di pubblico, critica e ascolti alla terza stagione, capace di conquistare la copertina del mensile "Emel" - vera e propria vetrina di prestigio sul mondo musulmano - spicca l'inglese Carlo Rota, interprete di quel Morris O'Brian che in "24" avrà un ruolo sempre più decisivo. "E' una serie rivoluzionaria - ha scritto senza mezzi termini 'Emel' - così come lo sono stati nella cultura americana 'Seinfeld', 'Friends' o 'Frasier'. C'è uno sforzo genuino e sincero di far risaltare un aspetto inedito dei musulmani. Alla larga da una visione nichilista o di odio, quanto sotto i riflettori di una sensibilità inedita, la quale emerge attraverso il gusto dell'ironia, capace di abbattere i muri e le divisioni". Proprio sull'arma dell'ironia punta l'ideatrice Zarqa: "la comunità musulmana non è un monolite. Se si parla di temi come le mestruazioni o il sesso, non c'è un'unica corrente di pensiero. La serie è una specie di dibattito aperto a tutti in cui si forniscono le differenti opinioni, senza farne prevalere una per forza. E' uno specchio dove riconoscersi, sia nei pregi che nei difetti. L'ironia è servita per abbattere gli stereotipi e i pregiudizi, per avvicinare due culture e, forse, le contrapposizioni anche all'interno della stessa cultura musulmana. E quando ho ricevuto i complimenti da parte di spettatori occidentali per aver costruito uno spettacolo per tutta la famiglia, bhe, confesso di essere stata ripagata di tutti gli sforzi fatti per mettere in piedi la serie...". (Articolo di Leo Damerini pubblicato su "Telefilm Magazine" di Settembre)

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