venerdì 13 ottobre 2006

PICCOLO GRANDE SCHERMO - Mann in alto: "Miami Vice" è il miglior film tratto da un telefilm della storia. Un western metafisico girato "altrove" rispetto al serial
Miami non è più Vice ma molto Heat: e chi conosce la filmografia di Michael Mann dovrebbe raccogliere la...sfida. Quella di portare al cinema un telefilm (anzi, "il" telefilm) che meglio ha rappresentato l'edonismo degli anni '80 e traghettare lo spettatore in un altro "continente creativo" (come lo ha definito Antonello Catacchio su "il manifesto"). Le gru rosa della sigla del serial hanno lasciato posto a quelle di metallo che trasportano i carichi di droga in arrivo al porto, il narcotraffico viaggia alla velocità wireless in una chiavetta USB, non si combatte più solo per la giustizia, per il denaro, per il potere. Nella Miami di oggi è più difficile infiltrarsi, praticamente impossibile non rimanere invischiati e compromettersi. Succede ai nuovi Sonny Crockett (Colin Farrell) e Rico Tubbs (Jamie Foxx), ognuno per un motivo diverso, seppure entrambi di matrice femminile. Il primo finge o sembra di innamorarsi di Isabella, la donna del boss (una magnetica Gong Li senza trucco), il secondo deve liberare la compagna rapita dalla malavita dove si è infiltrato. Nessuno dei due ne uscirà illeso. E con loro lo spettatore che s'infiltra anch'esso (compromettendosi) dentro una storia che scorre nei grandi spazi e nei silenzi che punteggiano, tra le ombre elettriche che sfilano tra Bene e Male, a bordo di motoscafi lanciati a folle velocità sulle onde con i fari spenti nella notte. Mann dipinge un affresco grandioso di immagini in movimento, con la telecamera che si muove a ritmi vertiginosi, ma sempre funzionali a un racconto che non lascia tempo per respirare. Quasi un western dell'anima, un musical soul. Il segno del cineasta non è tanto la vicenda, ma come la storia si snoda e viene rappresentata. Nell'interrogatorio all'informatore, lo sguardo di Sonny (e a ruota, della telecamera, dello spettatore) si perde lontano verso il tramonto che divampa. Ecco, rispetto al telefilm, la sua trasposizione cinematografica è in quello sguardo che si perde lontano. Altrove. Diventa metafisico, s'innalza al di sopra delle apparenze: guai a seguire la storia come appare, a classificare, a dedurre. E' tutto nella domanda di Isabella dopo il massacro finale, quando scopre che Sonny è un poliziotto con tanto di distintivo: "Chi cazzo sei?", gli urla avventandosi addosso. Chi cazzo sei, Sonny, rispetto a quello del telefilm, quando t'innamoravi della dark lady Caitlin Davies (interpretata da Sheena Easton, ve la ricordate?), dando vita ad una delle storie drammatiche più new romantic del piccolo schermo, al climax della serie-simbolo? La certezza (forse l'unica) è quella di non assistere affatto ad un remake, ma ad uno spunto per far viaggiare a briglie sciolte la fantasia del più grande cineasta di spazi (geografici e dell'anima). Che firma la miglior pellicola tratta da un telefilm della storia navigando a fari spenti in una notte senza troppi ricordi. Perchè i Sonny, si sa, muoiono sempre all'alba.

Giudizio: ****

1 commento:

Anonimo ha detto...

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