L'EDICOLA DI LOU - Stralci, cover e commenti sui telefilm dai media italiani e stranieri
LA REPUBBLICA
Rai, Mediaset e Sky: la sfida si fa serial aspettando Netflix
"Per la televisione in crisi l’ultimo business è la fiction. Sparito
il cinema di genere, sono Gomorra, Romanzo criminale, Don Matteo,
Montalbano, House of cards a dominare sul piccolo schermo. Nella sola
stagione 2014-2015 la fiction supererà sulle reti generaliste le
6mila ore di programmazione: un mercato enorme, nel quale si muovono
pochi produttori che si contendono ascolti e incassi in una battaglia
che è la vera nuova frontiera della televisione. C hi vince comanda e
in cassa fa il pieno, orientando anche le strategie delle reti. I
padroni del mercato Nel mondo i primi tre produttori di serie sono
Endemol (colosso acquisito da Murdoch dopo l’uscita di Mediaset nel
2012, con 80 società operative in 26 Paesi del mondo, con circa 1,4
miliardi di euro di fatturato) Fremantle Media (che fattura circa 1,7
miliardi di euro) e Zodiak (con un catalogo di 20mila ore, oltre 600
milioni di euro di ricavi prodotti nel 2013). Senza dimenticare Hbo
(sigla di Home Box Office), di proprietà della Time Warner una delle
emittenti tv via cavo più popolari degli Stati Uniti, con oltre 32
milioni di abbonati con un fatturato di 1,3 miliardi di dollari. Tra le
serie d’autore I Soprano, Girls, Veep, Boardwalk Empire. E il fenomeno
Netflix, servizio online di contenuti in streaming che ha realizzato uno
dei prodotti migliori dell’anno, House of cards e il rivoluzionario Orange Is The New Black. Presieduta da
Reed Hastings, ha visto crescere
il fatturato a 4,4 miliardi di dollari. La La produzione di fiction italiana vale intorno ai 300 milioni di euro.
Una torta che in Rai si spartiscono cinque società esterne, le
cosiddette «cinque sorelle», che assorbivano parte consistente del
bilancio della tv pubblica per fornitura di contenuti. Ai primi tre
posti: la Lux Vide, la Fremantle Media e la Publispei. La fiction salva
la tv generalista, ma non è stata risparmiata dalla crisi: nel 2008
Rai e Mediaset investivano oltre 500 milioni di euro, che si sono ora
ridotti a 300, ma l’industria dell’audiovisivo resta un business
importante con i suoi 70mila addetti. Dei 300 milioni si può valutare
che circa 220 vadano alla produzione indipendente. Infatti, mentre la
Rai investe solo su società indipendenti, Mediaset opera prevalentemente
attraverso società di sua totale o parziale proprietà. Le produzioni
italiane hanno un problema di costi e di risorse. Il costo medio orario della fiction generalista alta è al di sotto del milione. Sono le tv,
acquisendone quasi in toto i diritti che finanziano la maggior parte,
mentre la quota che si recupera dal mercato internazionale è inferiore
al 10%.
Il volume di investimento di Sky non è dell’ordine di grandezza
di quello di Rai e Mediaset. Le generaliste richiedono attori noti e
costosi; Sky può invece puntare su attori bravi ma meno conosciuti.
Però, facendo parte di un grande gruppo internazionale, può contare su
una percentuale di ricavi esteri molto più elevata. Per Romanzo
criminale è stata del 30%; per Gomorra del 35% circa; per Zero zero zero
si prevede oltre il 60%. Un futuro targato Netflix. I giovani usano il
computer, il palinsesto è «su misura». Netflix, il servizio che sta
rivoluzionando la tv, forte di 60 milioni di abbonati nel mondo,
dovrebbe sbarcare in Italia alla fine del 2015. House of cards con Kevin
Spacey è la prima serie distribuita superando il concetto di
palinsesto: 13 episodi messi online lasciando agli abbonati la scelta
su come vederli. «Credo che sia il cambiamento più profondo» ha spiegato
Ted Sarandos, 48 anni, presidente per i contenuti alla Netflix. «Chi
scrive per noi sa che dovrà scrivere una cosa più simile a un film di 13
ore». Ma la vera rivoluzione è nell’organizzazione e nel sistema di
selezione delle storie su cui puntare. Spiega Sarandos: «È molto meno
rischioso produrre così che realizzare 50-70 piloti all’anno - in gran
parte buttati - come fanno i network». Il budget annuale per i contenuti
è di 2 miliardi di dollari, il 10% dei quali destinato alla
programmazione originale. Basteranno una decina di euro per avere a
disposizione tutte le serie sul proprio televisore o sul tablet.
Finora le tv italiane sono rimaste al riparo da Netflix per il ritardo
della rete a banda larga italiana: senza una buona connessione Internet,
infatti, la qualità dello streaming si riduce. Ma questo ritardo ha
dato la possibilità ai concorrenti italiani di guadagnare tempo. «Siamo
tranquillissimi» risponde Andrea Scrosati, executive vice president
programming di Sky Italia «la nostra offerta in streaming già esiste,
naturalmente i diversi operatori si differenzieranno per il prezzo ma
soprattutto per i contenuti. Le serie italiane sono motivo di orgoglio:
Gomorra è stata venduta in 105 paesi, stiamo producendo la serie di
Paolo Sorrentino sul Papa. Il pubblico vuole la qualità».
«L’arrivo di
Netflix - ribatte Lorenzo Mieli, ad di Fremantle Media Italia - è
favorito dal lavoro immenso che ha fatto Sky in questi anni: lo
spostamento dal cinema alla televisione non riguarda solo la tv, è un
fenomeno gigantesco. Ci sono società che hanno fatto solo cinema e che
si stanno riconvertendo, è un mercato enorme, in crescita. Netflix ha
un modello di business tutto suo: acquisice il 100% dei diritti ma paga
il producer fee, una tariffa molto alta rispetto all’Italia. Potrà
essere possibile fare fiction italianissime che viaggiano nel mondo».
Le strategie. «Quanto serve la fiction al Paese e quanto aiuta a forgiare
un’identità? » si chiede Marco Follini, presidente dell’Apt,
l’associazione dei produttori televisivi. «L’industria va difesa ma c’è
ancora molto da fare. Dal momento in cui la Rai esprime interesse per
un progetto al contratto esecutivo passano mesi. Questa catena
burocratica deve essere accorciata. L’aver aperto alla possibilità di
presentare progetti online mi sembra una misura di trasparenza
apprezzabile. Ma si deve intervenire anche sul trattamento dei diritti,
oggi penalizzante: contestiamo la cessione in perpetuo e vanno
tutelati i margini di autonomia e indipendenza delle produzioni
esterne». Se migliaia di turisti italiani e stranieri hanno scoperto la
Sicilia grazie a Montalbano e si moltiplicano le gite in Umbria per
ripercorrere le strade di Don Matteo, le varie Film Commission dalla
Puglia al Piemonte al Trentino Alto Adige, lavorano per promuovere il
territorio attraverso la fiction. «È un circolo virtuoso» spiega
Eleonora «Tinny» Andreatta, capo di Raifiction, 200 milioni di euro di
budget (400 ore di fiction e più di 100 ore di cartoon). «Cerchiamo di
differenziare l’offerta spiega - per parlare a molti pubblici. Abbiamo
sostenuto la politica del girare in Italia, per valorizzare il nostro
territorio. I soldi spesi nella produzione italiana tornano moltiplicati
al Paese. Grazie al tax credit l’Italia può diventare un centro di
produzione internazionale. Ora puntiamo anche sul Web: “Braccialetti
rossi” insegna che l’attività dei social network funziona e il Web
riporta il pubblico giovane davanti alla tv». Antonino Antonucci
Ferrara, a capo della fiction di Mediaset, fa i conti coi tagli:
«Abbiamo soldi per fare un centinaio di serate. Rispetto agli americani
non c’è discussione, lì oltre alla genialità degli autori c’è una spesa
per il prodotto che supera i 5 milioni di dollari a puntata. Abbiamo
abbassato i costi, i budget non sono più quelli di una volta. Ma è un
momento buono per la creatività, puntando sui giovani sceneggiatori e
coinvolgendo i produttori di cinema». Gli investimenti di fiction di
Rai e Mediaset dal 2008 a oggi: la crisi ha colpito l’industria. Nel 2014
il budget si attesta sui 300 milioni. La fiction
italiana è soprattutto legata alle produzioni più popolari, non stupisce
quindi che a guidare la classifica dei titoli più visti siano tutte
produzioni di RaiUno. In testa la serie interpretata da Terence Hill". (Silvia Fumarola, 17.11.2014)
martedì 18 novembre 2014
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