giovedì 23 luglio 2015

NEWS - Telecom una e trina. Ecco gli accordi che l'azienda interseca con Sky, Mediaset e Netflix: monopolio tecnologico pressochè totale sui prossimi contenuti tv

Articolo di Edoardo Segantini per "Corriere Economia"
Piano di sviluppo, quotazione di Inwit, accordi per l'offerta di contenuti pregiati. Telecom Italia, secondo le «voci di dentro», sta provando a rialzare la testa. Nei prossimi tre anni, secondo i piani, l'azienda investirà quattro miliardi di euro in Brasile e dieci in Italia, tre dei quali per lo sviluppo della rete in fibra ottica. II tema è stato ed è al centro di polemiche, in parte scaturite dal piano governativo per la banda ultralarga che, in una prima versione, sottovalutava le alternative tecnologiche alla fibra, basate sul potenziamento del cavo coassiale di rame. Non si tratta di una polemica «tecnica» ma di una critica più profonda, che sembra mettere in discussione la stessa logica aziendale — investire dove conviene — e auspicare il ritorno dello Stato nell'azionariato dell'operatore storico. Dietro la cortina delle dichiarazioni, il dibattito verte insomma sul fatto se la Cassa depositi e prestiti (Cdp) debba diventare socia e con quale ruolo. L'ex presidente Franco Bassanini accusa Telecom di investire troppo poco nella rete ottica fino alle case, il presidente di Telecom Giuseppe Recchi e l'amministratore delegato Marco Patuano replicano che gli investimenti stanziati sono più che sufficienti per rispondere alla domanda di mercato. L'interrogativo, comunque, rimane: è giusto che lo Stato, via Cdp, rientri nella società ex monopolista, da cui uscì (malamente) nel 1997? Per fare che cosa? E con quali poteri? Quesiti non irrilevanti, visto che, con una quota di capitale ipotizzabile nel 10 per Previsti 4 miliardi di investimenti in Brasile e 10 in Italia, 3 per la fibra ottica cento, la Cassa non avrebbe comunque il peso sufficiente per obbligare la società a investire in iniziative senza un prevedibile, adeguato ritorno. Altre domande ruotano intorno alla figura del nuovo azionista di riferimento con il 15 per cento, Vincent Bolloré, il cui avvento mette fine a un altro sogno telecomiano (secondo i più cattivi «telecomico»): il sogno della public compam. Convergenza francese l I patron di Vivendi — potente nella natia Francia ma, diversamente dagli spagnoli di Telefonica, molto ben piazzato anche nel sistema di potere made in Italy — sta muovendo le sue pedine per accreditarsi come socio industriale e di lungo periodo. Secondo il top management di Tele-com, Bolloré apportera un'esperienza mediatica preziosa e del tutto coerente con il disegno di trasformare l'azienda in un hub per la distribuzione dei contenuti televisivi premium. Intervenendo alla presentazione di un tempestivo ebook sul finanziere bretone («II nuovo re dei media europei», di Fiorina Capozzi), il massmediologo Augusto Preta, che di Vivendi è stato a lungo consulente, dice che la sua principale abilità è quella di prendere in mano progetti mal combinati e di trasformarli in imprese vincenti. Vedremo. Di certo Vivendi ha una sua pay tv, Canal Plus, una major musicale, Universal, e una piattaforma di video, Daily-motion e potrà alimentare l'offerta di Telecom Italia. Quest'ultima, peraltro, sulla strada dei contenuti è già avviata: nell'aprile scorso ha firmato un contratto con Sky e si appresta a chiudere con Mediaset entro l'estate e con Netflix in autunno. Tutte offerte destinate a clienti con banda ultralarga, cioè superiore ai 30 mega. Diversamente da Sky, che ha sviluppato un proprio decoder, l'azienda del Biscione si appoggerà alla piattaforma TimVision. Così, prevedibilmente, farà anche Netflix, con cui sono in corso trattative sul catalogo delle serie tv (tipo House of Cards). L'avvicinamento al mondo dei contenuti, che vede impegnati anche altri operatori come Vodafone, rappresenta il vero contrattacco delle telco nella ricerca di nuove fonti di valore. La famosa «convergenza». Da tempo gli operatori televisivi e di telecomunicazioni la preparano, ma oggi è una realtà, spinta dalla più forte delle motivazioni: la paura. II timore di perdere nuovo terreno a favore di Google e degli Over the top, i nuovi monopoli del web. Se la rivoluzione non è un pranzo di gala, neppure la convergenza lo sarà. Sarà un fenomeno dirompente. Da cui derivano nuove sfide per tutti, regolatori compresi. È giusto, ad esempio, mantenere la cosiddetta «asimmetria regolatoria» che, fino a ora, ha favorito gli Over the top rispetto agli operatori telefonici? Bisogna togliere vincoli ai secondi o aggiungerne ai primi? Fermandosi al presente, gli accordi come quelli di Telecom e di Vodafone non sono in esclusiva, e non dovrebbero creare problemi di concorrenza e danneggiare i clienti, che semmai vedranno aumentare le possibilità di scelta. Le stesse Authority dovranno probabilmente adeguarsi, da un punto di vista organizzativo, al nuovo mercato convergente: quello che qualcuno chiama il «mercato dell'attenzione».

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