venerdì 19 settembre 2014

NEWS - Dacci oggi il nostro Netflix quotidiano! Anche la sciovinista Francia apre allo streaming. Italia ormai fanalino di coda, manco Renzi Underwood si dà una mossa...(ma negli altri Paesi non c'è l'impreciso Auditel...)

Articolo di Alberto Brambilla su "Il Foglio"

"Le serie televisive sono una mercanzia preziosa, dal valore immenso, Netflix l’ha capito da anni e ora le usa come “leva” per conquistare nuovi mercati. In queste settimane il colosso americano della televisione via internet procederà con l’operazione di espansione internazionale più grande mai tentata da una singola compagnia di streaming video, con l’ambizione di raggiungere più di 180 milioni di famiglie europee. Netflix, già presente in nord Europa, vuole offrire agli utenti di Germania, Austria, Svizzera, Belgio e Lussemburgo l’osannata “House of Cards” e la nuova serie carceraria tutta femminile “Orange is the new Black” che ha co-prodotto. Oltre a altre fiction molto amate negli Stati Uniti di cui possiede i diritti – dai nerd di “The big bang theory” ai mostri di “Penny Dreadful” – più la cineteca virtuale di film e documentari (da vedere su tv, computer, tablet, smartphone e console per videogiochi).
Nata nel 1997 in California come start up di servizi di dvd a noleggio, Netflix dal 2008 s’è tuffata nello streaming sul web. Ora conta oltre 50 milioni di utenti globali e macina 71 milioni di dollari di profitti, in crescita del 141 per cento rispetto al 2013.
L’offerta di fiction è la sua forza. Le serie sono i programmi più visti e grazie alla possibilità di godersele quando si vuole (on demand), gli appassionati – spesso divoratori bulimici di puntate – possono fare grosse scorpacciate anziché aspettare settimane per gustare un nuovo episodio, come ha scritto Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, attribuendo a Netflix la forza dirompente di “terremoto” nel mercato televisivo europeo.
Paragone azzeccato a giudicare dal fragore prodotto dall’annuncio, arrivato lunedì, dello sbarco di Netflix in Francia (grazie all’alleanza con la compagnia telefonica Bouygues Telecom). Mugugna Vivendi, concorrente con la pay tv Canal plus. Ma si lagnano anche alcuni esponenti governativi che già preventivano danni per l’industria cinematografica nazionale. Protezionismo culturale – già visto con la minaccia francese di porre il veto al trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti – che Netflix promette di superare.
Come? Con la produzione della fiction “Marsiglia”, un intrigo politico stile “House of Cards” in salsa francese, e un cartoon ideato da uno studio locale. Il pensiero del presidente Reed Hastings è lineare: cari francesi vogliamo conquistare un terzo delle vostre famiglie ma prima ci costruiamo una reputazione. Netflix non è l’unico operatore della rete che produce anche contenuti, lo fanno ad esempio Time Warner, Tivo, Google e Amazon.
Avere un “filo diretto” con il cliente-abbonato e conoscere i suoi gusti è un vantaggio decisivo rispetto ai broadcaster tradizionali che producono fiction, dice Francesco Sacco, esperto di innovazione e docente dell’Università Bocconi. “La differenza rispetto ai broadcaster tv, come Mediaset e Rai in Italia, è la conoscenza pressoché assoluta dei gusti del pubblico cui è possibile associare il profiling sociodemografico dell’utente (luogo, componenti famigliari, reddito) sul quale poi tarare non soltanto l’offerta ma soprattutto i contenuti da produrre”. 
Sapere cosa piace con certezza (quasi) matematica in base alle “visioni” effettuate – mica imprecisi e tardivi dati Auditel – permette di studiare trame azzeccate o aggiustare in corsa serie già lanciate, e soprattutto decidere quanto investire su un soggetto (quasi) a colpo sicuro. Prima i network televisivi facevano un lavoro artigianale, di cesello, producendo le cosidette “puntate pilota” (dei test per saggiare l’accoglienza del pubblico) e il costo levitava facilmente visto lo stile hollywoodiano di una serie con decine di puntate.
L’episodio pilota di “Lost” – l’inizio dell’avventura dei naufraghi – è costato più di 10 milioni di dollari nel 2004, un record. “Lost” è stata un successo planetario per la gioia della Abc (un Golden Globe e tre Emmy). Ma non è sempre così: i flop di serie minori, passati in sordina, abbondano. E’ un gioco in cui chi prende meglio la mira vince. E chi vince può prendersi il meglio, magari assumendo un cast stellare. E’ comune vedere star hollywoodiane cimentarsi nelle lunghe storie offerte dalle fiction convinte dalla sfida artistica e dal richiamo dei soldi.
Dai premi Oscar Kevin Spacey (machiavellico dominus di “House of Cards”, ora pagato 500 mila dollari a episodio) e Jeremy Irons (Papa Alessandro IV ne “I Borgia” nonché l’attore più danaroso di Hollywood, secondo la rivista “People With Money’s”) fino alla star dello spionistico “Homeland”, Claire Danes, che ha raddoppiato il suo cachet dopo la prima stagione. Anche questo fa delle serie tv una “merce” ambita da molti.

3 commenti:

kombat ha detto...

va bhe, ma sparare sull'Auditel è come sparare sulla Croce rossa, è l'istituzione che va bene a tutti, Rai, Mediaset, Sky...
Netflix è una rivoluzione che il nostro paese non è pronto a ricevere, scardinare l'Auditel, in un momento di patti incrociati, è impossibile. Punto.

kombat ha detto...

Aggiungo poi che se mai arrivasse netflix, Sky stessa non avrebbe ragione di esistere (a che servirebbe il tanto celebrato mySky?), oltre che i canali di Mediaset premium ovviamente...
Pensateci

kombat ha detto...

comunque bello sto blog, qualcosa di diverso (l'ho scoperto ieri notte e ci ho passato un'oretta e mezza tra notiziole divertenti e altre al limite del sulfureo, ma cmq interessanti)
se avete bisogno di collaboratori, io ci sono e nel caso vi mando email in pvt.

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